Coach e guru

Imperversa, da un po’ di tempo a questa parte – e da un certo numero di persone -, una campagna di derisione verso chi si occupa di coaching.

I critici li chiamano guru – quando sono gentili – descrivendo i coach come quelli che:

  • si alzano alle 5 di mattina per andare a correre, studiare, lavorare;
  • perseguono obiettivi da invasati, del tipo: guadagnare di più, lavorare meno, passare più tempo con la famiglia, passare più tempo per dedicarsi agli hobbies ecc. (ehm, solitamente non sarebbero normalmente ritenuti da invasati come obiettivi, ma in un contesto come quello di oggi, dove sperare e sognare pare spesso fuori contesto, possono apparire a molti come tali);
  • si spacciano per quelli sempre felici;
  • credono di aver capito tutto dalla vita e vogliono insegnare questo agli altri;
  • lo fanno per guadagnarci alle spalle di malcapitati insoddisfatti che, abbagliati da tutto quello scintillìo, vedono nel coach un modello da seguire.

Senza entrare nell’etimologia delle parole, è evidente che il termine guru venga qui definito con accezione negativa: come guida che vuole convincere le persone. Nell’articolo propongo una serie di riflessioni in risposta a queste – poco lusinghiere – considerazioni.

Prima considerazione

Credo che se da un lato ridere faccia bene e l’ironia serva spesso a smascherare -con leggerezza – cose che non vanno, dall’altro lato si corre però il rischio di descrivere il coaching e il coach (annesso) in modo superficiale e non corrispondente al vero, aprendo la strada verso una cattiva informazione.

Penso che se vista dalla giusta prospettiva, il coaching possa essere un’ottima risposta riguardo alcuni bisogni umani  attuali.

(Obiezione: <<Vabbè>>, potrai dire, <<te sei un coach, per questo parli così>>. Risposta: <<In realtà ho scelto di formarmi come coach proprio perchè ho creduto in tali possibilità e prospettive. Quindi, prima mi sono informato su cosa era e poi ho fatto la scelta di esserlo>>. Nel caso volessi vedere chi sono, ecco qui una mia breve presentazione).

Alcune domande preliminari, per definire la situazione:

  • Qual è il grado di felicità e soddisfazione medio sul lavoro delle persone oggi?
  • Qualcuno ci ha mai insegnato a cercare la nostra direzione professionale o di vita con metodo e con competenze specifiche?

Le risposte a queste domande sono piuttosto negative.

Abbiamo sotto gli occhi tutti il livello di insoddisfazione delle persone a causa di cambimenti culturali, sociali, psicologici e organizzative.

Oggi, in un mondo sempre più complesso, occorre avere la capacità di affrontare la le sfide in modo organizzato e con chiarezza degli intenti. Ma spesso queste attitudini non vengono sviluppate appieno. Si guarda spesso al risultato scolastico, alla performance, e molto meno ad altri indicatori come le potenzialità, le vocazioni personali e le felicità che si desidera perseguire -e come- .

I dati

Il livello di soddisfazione professionale attuale delle persone, è spesso descritto ai minimi termini. Basta aprire testi di psicologia o sociologia (di recente ho riletto il testo ormai un po’ datato di Goleman – Intelligenza Emotiva – e il libro Flow di Csíkszentmihályi: entrambi pieni di dati sconfortanti sui temi felicità e professione). Ma possiamo poi leggere informazioni in tal senso da: giornali (qui un esempio) delle camere di commercio, Università, istat, EU, Governo (un altro esempio qui). Ascoltare il prossimo telegiornale, leggere a campione alcuni post di Linkedin o su quakunque motore di ricerca.

Fermiamoci un attimo. Facciamo una controprova che non vale a livello scientifico ma, diciamo, vale in qualità della tua percezione personale. Che non è  poco!

  • Quante persone attorno a te, che conosci, sono soddisfatte del lavoro che svolgono?
  • Quanto sono felici nel contesto in cui si trovano?
  • Tu, in questo momento, se dovessi dare un punteggio da 1 a 10 (dove 1 sta per  “del tutto negativo” e 10 sta per “del tutto positivo”) quanto daresti al tuo grado di soddisfazione a livello lavorativo?

Al di là dell’aspetto lavoro (difatti il coaching non riguarda solamente questa sfera), ci sarebbe da chiedersi in che modo – in quest’epoca di complessità – :

  • si possa perseguire ciò che si desidera realizzare;
  • se da soli riusciremo a liberarci dalle abitudini che hanno remato ad oggi, contro la nostra realizzazione;
  • quali risorse personali abbiamo a disposizione per perseguire il cambiamento sperato, e come pensiamo di metterle in campo.

Seconda consideazione

I coach – almeno quelli onesti e professionali- non agiscono per far percepire alle persone (potenziali clienti) che la loro vita è vuota è insoddisfacente, ingenerando un nuovo bisogno.

Nessuno può permettersi di giudicare la vita di un altro.

Compito del coach è allenare coloro che vogliono migliorarsi: attitidine di molti (si legga Maslow) nel tendere verso un naturale miglioramento, un ‘autorealizzazione personale.

Il coaching nasce come allenamento al cambiamento leggendo il bisogno di evolvere insito in noi.

Dunque, fare coaching non vuol dire che si è per forza infelici e del tutto insoddisfatti. Può anche essere dettato dal bisogno di migliorare un aspetto della propria condizione.

Il coaching

Il coaching è basato su molteplici conoscenze ed esperienze, che spaziano a seconda dell’ambito. Ha comunque delle caratteristiche trasversali, a prescindere dalla tipologia. Esso è costruito sulle conoscenze maturate nel corso della storia, con scoperte di tipo: psicologico, pedagogico, filosofico, nelle arti marziali e nella meditazione, nell’ingegneria, nel settore economico, organizzativo, artistico e sportivo.

Ovviamente, essendo diversi gli ambiti, queste conoscenze vengono miscelate per costruire protocolli su attività specifiche.

In sè, il coaching moderno prende avvio alcuni decenni fa (lo si fa risalire agli anni 70 del novecento da autori come W. Timothy Gallwey e John Whitmore) anche se già dai testi di filosofia antica e di meditazione troviamo comportamenti, riflessioni e spunti che rimandano al tema.

Per esempio, se guardiamo a pratiche volte al miglioramento della persona è molto interessante il libro di Hadot: Esercizi spirituali e filosofia antica. che ricostruisce alcune pratiche di miglioramento personale in uso nell’antichità. Quindi, il corso della storia è sempre stato un cantiere aprto di pratiche volte a migliorare la vita dell’uomo.

Così, alla fin fine, possiamo dire che da sempre c’è un’attenzione a migliorare la nostra condizione e, negli ultimi decenni, questo bisogno si è tradotto in una pratica sempre più raffinata.

Tornando quindi al livello di insoddisfazione percepita oggi, il coaching si propone come possibilità di cambiamento, per andare a lavorare su quelle aree dove la persona sente che potrebbe raggiungere maggiore felicità.

Il coaching oggi

L’approccio di coaching oggi va declinato per ogni ambito di intervento, elaborato nelle sue specifiche: con saperi tecnici in base al settore, attuando modus operandi delineati e specifici.

È noto, infatti, che esistono vari ambiti nel coaching: life, career, sport, business, healt, spritual. Solo per dirne alcuni.

Ma….

In tutte le professioni ci sono persone più preparate e meno preparate; autentiche e meno autentiche; professionali o non professionali.

La formazione del coach e la sua preparazione

Se è  vero che per avere un diploma rilasciato da una scuola di coaching, bastano poche ore di formazione (solitamente non meno di 80 ore) per dirsi coach riconosciuto. Questo non conferma che la persona abbia già sviluppato quell’essere “professionista” completo: credo che questo avverrà nel tempo, grazie a: training, studio ed esperienze sul campo.

Poi, la capacità di rendere concreta tale professionalità avverrà trasformando le conoscenze acquisite nel percorso formativo in competenze effettivamente pratiche.

Terza considerazione

Ma è sufficiente perché il coach sia valido e competente?

Per essere iscritti ad associazioni di coach (almeno per alcune, come nel caso di AICP) occorre aver frequentato un corso con esame finale, chiedendo al coach di proseguire periodicamente con altre attività riferite al coaching e a formazioni inerenti. Così da aggiornarsi e perfezionarsi.

Come l’essere iscritti ad un qualunque albo professionale, non equivale però al risultare talentuosi, allo stesso modo, non penso sia sufficiente frequentare un corso e iscriversi ad un associazione, per diventare bravi coach. Lo si diventerà con studio, dedizione, lavoro.

Altre associazioni, come per esempio ICF, chiedono poi, per potervi accedervi, maggiori ore di formazione e attività professionali documentate.

Ci tengo a ribadire quindi che:

  • fare coaching è un’attività di allenamento a migliorare uno o più aspetti della persona o di un’organizzazione.
  • Esistono associazioni che raccolgono professionisti, i quali devono mantentere degli standard professionali ed etici.

N.b. chi non ha intrapreso un percorso formativo in coach, qui non lo prendo in esame. Credo che per diventare coach professionisti occorra almeno frequentare una scuola e seguire un iter formativo con annessi scambi di esperienze (come accennato sopra).

Quarta considerazione

Il coach, spesso, viene da altre esperienze.

È da rilevare che, in moltissimi casi, le persone formate nel coaching hanno già comunque esperienze formative/professionali in ambiti limitrofi, dove si prevedono competenze formative e relazionali (ad esempio: orientatori, psicologi, educatori, consulenti, insegnanti, formatori ecc.). Quindi, quando questi professionisti si mettono sul mercato, hanno già competenze trasferibili spendibili che vanno a sommarsi con le nuove competenze acquisite.

Naturalmente, le “vecchie” competenze trasversali saranno quelle utili nel coaching ma, essendo il lavoro del coach un’attività a sè stante, occorrerà impegno per diventare coach competenti.

Quindi, sarà il mercato

Credo quindi sarà il mercato – come avviene per un buon psicologo, idraulico, elettricista e così via- a dire della validità del professionista che propone la sua attività di coach. E che le promesse infondate di chi si atteggia a guru – superficiali o miracolistiche – abbiano il tempo contatto.

Magari l’hanno sperimentato sulla loro pelle il coaching e ne sono entusiasti perchè per loro ha funzionato. Hanno deciso di andarlo a raccontare in giro <<davvero così bello, che sarebbe ancora più bello poterci vivere!>> gli verrà da pensare.

Ma bisogna stare attenti a quell’entusiasmo poco critico, perchè non sempre è esportabile ad altri.

Credo che a causa di questo bias cognitivo, molti coach siano davvero convinti della bontà di ciò che scrivono e dicono. Dunque, hanno ragione: ha funzionato (per loro).  L’enfasi per ciò che che hanno sperimentato non sempre però è traducibile verso gli altri, quindi hanno ragione (solo) dal loro punto di vista.

Un buon coach

Un buon coach lavora sulla persona, è chiaro negli obiettivi che può portare e sul tipo di  lavoro che propone.

Naturalmente vi è poi la resposabilità del coachee (è chiamato così il cliente del coach) ad impegnarsi e a sapere che l’attività è un allenamento nella direzione desiderata, a chiedere delucidazioni sul processo. Ponendo l’accento, appunto, sul tema dell’allenarsi.

Oggi, credo che la difficoltà stia nel capire quale coach faccia al caso nostro. Per questo sarà molto importante chiedere informazioni preliminari: per avere un confronto sul tipo di percorso che si andrà ad intraprendere e quale tipo di eesperienza il coach ha maturato.

E’ il tempo e la preparazione a costruire buoni coach

Detto questo, mi permetto di dire due parole ai coach – spesso bistrattati dall’opinione pubblica – e a chi vuole investire su se stesso in attività di miglioramento.

  • Non farti condizionare troppo dalle parole negative o di scherno che senti sull’attività del coach. Guarda a te, ai tuoi desideri sempre nel rispetto degli altri che hai attorno. Chi si mette in gioco sta sfidandosi e, se vogliamo, sta reagendo ad una “mollezza” che non tutti quelli che l’avvertono si sentono di voler – o poter – contrastare . Spesso, da parte di questi ultimi, la soluzione adottata è quella di  criticare chi vuole migliorarsi, provando a ridicolizzarne le azioni, ma senza aver capito profondamente le ragioni;
  • Essere critici è giusto, ma è un attimo a cadere nelle letture becere e superficiali;
  • Cerca di essere te stesso. Agisci con onestà e trasperenza, senza emulare altri;
  • Se senti di volerti alzare alle 5 del mattino (n.b. alzarsi alle 5 è solo un esempio, non prendermi alla lettera: ci sono tantissimi modi di allenarsi al proprio benessere o a una crescita di carriera senza necessariamente alzarsi alle 5 ), di avere obiettivi sfidanti, metterti in gioco in modo serio e responsabile, non ti preoccupare. Credo sia indice della volontà di amare in una certa misura la propria vita e di volerla migliorare. Non è l’unico modo, ovviamente, Ma uno dei tanti modi possibili.

Non mi resta che augurarti: BUON COACHING!

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