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Riflessioni sulla motivazione di chi cerca lavoro (anche per professione).
Com’è facilmente intuibile, cercare opportunità può generare frustrazioni.
Vediamo tre aspetti da tenere sott’occhio e quale visione dovrebbe avere chi aiuta gli altri e se stesso.

Ho paura dei motivatori senza paura

I “motivatoridi cui non intendo parlare, sono coloro che motivano ciecamente tutto: se stessi, il gatto, la luna, la colazione, qualunque stortura di naso. Ma un motivare che va avanti a rullo compressore, senza guardare fatti e persone, senza farsi domande, non è umano.
Tutti cadiamo e, se non stiamo attenti, corriamo il rischio di rimanere impantanati se la motivazione viene a mancare: è una possibilità cui non si dovrebbe aggiungere ulteriori sensi di colpa.
Sono sempre dell’avviso che bisogna guardare i lati positivi delle cose che accadono, ma credo non dobbiamo mai girare la faccia dall’altra parte sulle cose che non vanno. Queste devono essere analizzate, capite, trovando delle soluzioni per quanto possibile.

La motivazione nella ricerca di lavoro

L‘interlocutore a cui mi rivolgo, per questo pensiero, riguarda chi si occupa di ricerca lavoro, tutto preso da problematiche altamente terresti, relative alla caduta della motivazione e annessi.
In particolare, penso a coloro che cercano opportunità: gente stanca, stufa e debilitata dalla mancanza di risultati. Così, quando arrivano a chiedere aiuto ad un coach career/orientatore/motivatore, portano in dote anche sfiducia e rabbia e, se non stiamo attenti, quando è così, possiamo cadere investiti da lamentazioni e sguardi infilati nell’imbuto della frustrazione, che via via hanno ristretto la visuale, diventando vortice, buco nero, frana che si mangia tutto ciò che c’è attorno.

Tre variabili della motivazione

Allora, riguardo alla motivazione dovremmo tenere a mente tre elementi importanti, che sono un “sentire”:
  •  che si può fare qualcosa (potere). Cioè capire cos’è in mano alla persona e cosa può fare per migliorare la propria situazione. Ma questo potere riguarda anche noi. Allora dovremmo chiederci: “Cos’è in mio potere fare?”. E dovremmo chiederlo al nostro interlocutore. cosa può fare per la sua situazione.
  • il progetto preso in carico. Questo sentire riguarda la passione per l’attività che si sta svolgendo: il livello di sentimento sentito per la cosa. A noi stessi dovremmo chiederci quanto amiamo il nostro lavoro, al punto di “dannarci” per trovare soluzioni. Le domande che farei i farei – e m farei -sono: “Quanto tieni alla cosa? “Cosa potresti fare per cambiare?”
  • che si può migliorare sempre (tensione all’eccellenza). Ovvero, che non si è arrivati al massimo ma si può fare dell’altro in meglio (lui e noi). La crescita, gli stimoli nuovi sono importanti per non cristallizzare. Risponde alla domanda: “Cosa posso fare per migliorare ciò che sto facendo?”.

Domande simili, dove ognuna aggiunge un tassellino alla conoscenza  e  motivazione, perché mettono in campo il nostro senso di autofficacia.

Il nostro compito di coach

Quando svolgo formazione agli operatori – al di là degli aspetti tecnici: su come analizzare le competenze delle persone, come cercare in modo efficace, come orientarsi – parlo dell’importanza della motivazione.
Motivare non è solo dire “sei bravo, sei bello, va tutto bene” anche quando non è cosi.
Motivare è far vedere la possibilità di nuovi scenari, trovare il buono, le risorse e offrire lo sguardo su possibili inneschi, senza sostituirsi, senza semplificare.
Chi aiuta a nello sviluppo di carriera, deve essere un generatore di pensieri nuovi, un promotore di speranza, un ponte per la creazione di idee.
Eh si, caro coach, hai un lavoro impegnativo da portare avanti, ma – ti assicuro- è davvero molto bello!

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